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Orditi di Paolo D’Orazio a Bibliothè Gallery

E’ con molto piacere che parlo della mostra a Bibliothè Gallery del pittore Paolo D’Orazio dove propone la sua arte che da decenni si distingue per la coerenza di uno stile che riesce sempre ad avere la sua notevole attrattiva e centralità nel mondo dell’arte. Scusate la licenza, Paolo D?Orazio lo associo a un altro grande artista che, se anche ha fatto ricerche differenti e appartiene a un contesto territoriale diverso ne testimonia la comune radice storica.

Parlo di un altro evergreen Giorgio Griffa (Torino ’36) anche lui da sempre concentrato nella ricerca del colore di quello che fu il Movimento per l’arte concreta o MAC. Movimento fondato a Milano nel ’48 e presentato dal critico Giuseppe Marchiori per la mostra alla libreria il Salto a dicembre dello stesso anno. Li ricordo perché sono stati gli anni più gloriosi dell’arte italiana che vide coinvolti Atanasio Soldati, Gillo Dorfles, Bruno Munari, Gianni Monnet, Augusto Garrau, Ettore Sottras insieme a tanti grafici, designers, architetti in quello che negli anni ’30 Van Doesburg e Kandiskij teorizzarono, l’arte aniconica. Insomma, nobili ascendenze per un artista che viene esposto a Bibliothè Gallery coordinata da Enzo Barchi per il trentaduesimo appuntamento di Signum che come vedrete a seguire nel comunicato stampa riesce a coinvolgere prestigiose figure della cultura.

Orditi Pietro D’Orazio

ORDITI
Un’ opera unica di Paolo D’Orazio
Dal 26 Maggio 2021 al 15 Giugno 2021

Trentaduesimo appuntamento della rassegna Signum

ORDITI
PAOLO D’ORAZIO
a cura di Francesco Gallo Mazzeo
Testo di Martino Franca
Coordinamento di Enzo Barchi

Orditi di Francesco Gallo Mazzeo interpretato da Laura Giulia Cirino
e Sergio Palma
Diretta FB Rosario Sprovieri

Inaugurazione in presenza e virtuale Mercoledì 15 Giugno 2021 ore 18.30

Bibliothè Gallery
Via Celsa n 4/5, Roma
L’esposizione resterà aperta fino al 25 Maggio 2021
Orario: dal lunedì al sabato: 10.00/20.00 Info: (+39) 06 6781427
https://bibliotheartgallery.com

Orditi
di Martino Franca

Ci sono importanti novità nella produzione recente di Paolo D’Orazio. Riguardano tanto le condizioni al contorno quanto la sostanza, perché i caratteri del supporto hanno a che fare con il contenuto e l’obbiettivo della ricerca. Sorprende innanzi tutto la misura delle tele: piccoli quadrotti da 20×20, meno del “cubito” delle tavolette prospettiche di Brunelleschi. Un’epoca li separa dalle vaste distese frequentate nella fase acuta della ricerca cromatica pura. Il fatto è che qui il perimetro non è il confine esaustivo, e nemmeno il taglio casuale dell’oggetto della figurazione, per esempio strisce di colore apparentemente infinite o incidentalmente interrotte. Piuttosto i quadrotti sono traguardi, feritoie ritagliate nel disframma opaco che separa il luogo dell’osservatore da quello dell’oggetto, finestrelle per l’osservazione di un altro universo, nel quale le trame colorate e sovrapposte stanno sospese come oggetti finiti e tridimensionali. Uno spazio che non ha l’indole perentoria e geometrica di quello prospettico. Invece è fluttuante, come quello della fisica, e infinitamente replicabile, al modo della realtà virtuale. Ci galleggia, in infinite varianti, un solido formato da strisce colorate, solide anch’esse, ordite e sovrapposte a strati. I quali, nonostante la complessità dell’intreccio, appaiono individuati e raggiungibili come un pacchetto di finestre di lavoro aperte e sovrapposte nello schermo del computer. Al centro deli ogni quadro si accampa un bollo– tondo o rettangolare – che, sebbene accordato in tinta con una dominante della rappresentazione, si colloca in un altro livello: sta visibilmente sul piano di trasparenza del traguardo e lo rivela, come i segnali adesivi applicati alle vetrate dei bar per segnalare agli avventori la presenza di una separazione materiale tra fuori e dentro . Si capisce che lo spazio è l’oggetto della figurazione. Decenni di ricognizione dei colori – interferenze, trasparenze, timbri, toni – hanno generato la padronanza naturale di una materia che non è più l’obbiettivo primario, anzi è divenuta strumento. La ricerca cromatica sta a quella spaziale come il lessico alla frase, meglio come la lingua al discorso. E l’oggetto del racconto per colori conduce la sua vita nello spazio del terzo millennio, con le sembianze della realtà aumentata. Nella nuova era D’Orazio traghetta in blocco la sua ricerca cromatica pluridecennale trascinando insieme a quella le scaturigini che la hanno giustificata, come dire la rivoluzione artistica del ‘900. Non si tratta solo del rigore analitico con il quale le Avanguardie hanno sezionato la pittura nei suoi componenti, il volume,il segno, il colore, la materia. Nei dipinti affiora anche l’altra metà di quel cielo dell’arte, quella surreale degli incubi e dell’assurdo. In diversi quadrotti sono evocati, nei modi dell’astrazione, i paradossi topologici o le teste sbucciate di Escher. In altri alcune schegge colorate si staccano dall’intrico e si librano nella forma di solidi triangoli rettangoli, quasi squadrette da disegno di DeChirico vaganti nell’aria di Magritte.

Signum

Francesco Gallo Mazzeo
Nome è l’impronta maggiore che si possa dare ad ogni giusta, vera,
persona, per portarla fuori dalla negatività, dalla assenza, intesa
come dispersione, dissolvimento, dovuto alla mancata nascita o
alla morte, della leva vocativa capace di sollevare caos in mondo e
nel caso specifico di suscitare, la quiddità, la personalità, la spiritualità,
che sta sul verbo, senza di cui non è possibile la parola, il lievito
di un pensiero, l’innalzarsi metafisico, astrattivo, sulla folla visibile.
Un assolvimento cronologico, storico, necessario, per dare fondazione
per dare alimento ad ogni furore, che possa essere profetico, che
possa essere rituale, che possa essere poetico, che possa essere passionale,
permettendo quella generazione di idee e di forme, che possano essere
atto di nascita di invisibile che diventa visibile, di potenza che si fa atto.
Stile come cultura che è conoscenza e comprensione, come lo
sono storia e filosofia, unite insieme in una tensione asimmetrica,
a dare profondità nello stesso momento in cui s’aspira all’atto,
alla vocazione al gesto orientato, come premessa e conseguenza di
una conoscenza, che è confidenza verso l’ignoto, che continua ad
essere tale, anzi prosegue la sua distinzione in lungo e in largo,
tanto più, quanto più s’allunga un raggio di luce e il suo diametro.
Una conferma vale una lievitazione, che è una conseguenza della
vita e quindi della vitalità, che non cessa mai di dare segni, miti,
di quanto sia necessario avere radici, per innalzamento e per un
cammino, che deve diventare mappa, perché tutto ciò che è vuoto
deve sempre confrontare il noto con l’ignoto, perché poggia su entrambi
l’alternarsi di luce ed ombra, come essenzialità di ogni codice
che esige la forza tetragona dell’esegesi e la leggerezza dell’allegoria.
Poetica è affiancamento dell’effimero al sostanziale, lingua e parola,
più che mai essenziale, appartenente ad una metafisica delle conoscenze
che permette al contenitore spirituale di essere tale, diventando laboratorio
ideale e reale della fantasia, nelle sue oscillazioni sul bello che
è misura e simmetria, sul sublime che è infinitudine e ineffabilità,
ma che hanno in comune il tessuto stellare dell’armonia, che
permette al piccolo di stare col grande e allo sconfinato di colloquiare
con l’infinitesimale, in una misturazione alchemica e sapienziale.
Attualità come scorrimento, come temporalità, che per quanto
abbia virgole e punti e cronologia discontinua e non sistematica,
ha una sua propria scivolosità che fa percepire più come concettualità
che non come effettività, perché nel momento dell’accadimento non
è coscienza e quando diventa coscienza appartiene ad un passato,
appena accennato, ma ciò nonostante, inesorabile, all’imprescindibile.
Scoperta è la ribalta dell’inattesa, una illuminazione magica, altra,
nella misura temporale dell’ordinanza, originarietà di un cammino di idee
e continuità che sono coperte da polvere, da caligine, da colpe e chimere,
come le idee platoniche, vengono musicate, significate, visibilizzate,
tattilizzate, ammesse nel circolo delle virtù, che sono cardini per stare
nel mondo, da sole, nella verticalità della mistica e della leggerezza
come itineraria, nella orizzontalità, come salire montagne, andare
per stelle e incontrare se stessi in forma difforme, d’uno e di tutti.
E Pluribus unum, nel segno di una ricerca continua, di una scalare
immensa fede nell’universo, che contiene tutto e che muoviamo in
via psicologica, per aggiungerci ed affermare certezze, dell’hic et nunc,
mentre l’ignoto è in mezzo a noi, motore immobile, altro, oltre, di vita.
Nella confidenza che il tempo dei cicli stia concludendo, la rivoluzione
e alla fase di discente di Kali yuga nel segno dell’acquario e subentri
quello ascendente, verso l’intelligenza, la grazia, nel cuore del sapere.
Specchio, non significa immobilità, tutt’altro, vuol dire sguardo mobile,
magico, sulla transizione, sulla velocità di porta e trasporta, carro con
una carica di attualità, che spesso non permette una vera conoscenza,
ma una presentazione a mezzo ludico e tragico, in forma tremolante
di schemi che si affollano da tutte le parti, esaltando e deprimendo,
in forma plastica che non prevede assestamenti, perché lo spettacolo
continua, ma non è sempre lo stesso, non è più quello, uno qualsiasi.
L’unica cosa che sappiamo è appunto, che l’ignoto si espande, è grande,
sempre più grande e lo stesso concetto di perimetro diventa insignificante,
macinando teorie su teorie, metafore su metafore, annunciandoci
territorialità “assurde” energie oscure, rispetto a cui I tempi del cielo, della
volta celeste, del firmamento erano risposte a domande e non domande (…).
Enigma come universo sconosciuto che contiene imprevisti, forme e
contenuti instabili, di cui non conosciamo l’origine, né il destino,
lo vediamo solo un tratto di percorso, troppo breve per conoscerlo,
ammesso che ci convenga farlo nostro e non averlo sempre come
fascinoso orizzonte in grado di scatenare la nostra fantasia e
non farla rinchiudere in una monade, senza più porte, né finestre.
É stato oro, è stato argento, è stato bronzo, continua ad
essere ferro, anche se lo chiamiamo in modi diversi, perché tratta
sempre dello smarrimento, in un sublime che si espande, si espande
e ci lascia con sempre nuovi interrogativi, perché tutto tende a
scivolare, ma verrà un giorno, un mese, un anno, per alzare lo sguardo .
Verranno un giorno pensieri e forme, perfettamente espresse, come
la verità prima che le oscurità e le profondità la coprissero e
riprenderanno, in eterna primavera, con radici profonde di terra
e terra, fronde e fronde, fiori e fiori, imperturbabili come firmamenti.