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XVII edizione della Festa del cinema di Roma

Olga Matsyna

Quì di seguito gli articoli di Olga Matsyna:

SCENEGGIATORI:

I DIALOGHI SUL FUTURO DEL CINEMA ITALIANO.

Alla Festa del cinema di Roma c’è stata una serie di incontri moderati da Laura delle Colli. All”‘incontro con gli sceneggiatori erano presenti Stefano Bises,  Francesco Bruni, Ludovica Rampoldi, Valia Santella, Michele Pellegrini, Maurizio Braucci. İ grandi interrogativi del dialogo erano: com’è il nuovo cinema, perché lo vediamo su piattaforme e come si scrive per questo nuovo cinema.  

Stefano Bises ha fatto notare che tanti soldi piovuti sul mercato audiovisivo avevano creato tante possibilità, ma lo scatto di qualità non era avvenuto,

nonostante una quantità notevole, forse, a causa della fretta di varare i progetti. Bises ha sottolineato che lo sceneggiatore sarebbe il motore principale dell’opera, quindi, ci vorrebbe, da parte dello sceneggiatore, una presa di responsabilità. İ destinatari odierni di sceneggiature sono ben quindici, a differenza di una volta quando esiateva solo la Sky. Eppure, ciò non ha giovato a far fiorire la categoria di chi scrive per lo schermo. Gli argomenti si sfruttavano fino a farli esaurire. Invece, a suo avviso, ci dobrebbe essere tanto spazio per la libertà creativa.. Bisognerebbe riportare i giovani al cinema, coinvolgendoli anche nella produzione dei contenuti.

Laura delle Colli ha ricordato le parole di Marco Bellocchio: “İo scavo nel personale. Quello che funziona parte

sempre dal personale”

Ludovica Rampoldi ha parlato dell’importanza di puntare su brand già riconoscibili: remake, film che vengono fatti da libri, podcast da libri che diventano film. İn Italia, come è noto,

non c’è un mercato di sceneggiature. Eppure, già Alberto Sordi sosteneva che,

se i copioni non funzionano, tutto muore. È molto strano osservare il cinema d’autore resistere in sala, e il cinema cosiddetto medio, che dovrebbe essere seguito da un pubblico di massa, essere in caduta libera perché troppo generico e creato senza cura. Resistono solo ifilm unici e di qualità.

Valia Santella vede nel cinema italiano d’oggi tanta follia e visionarietà. İl futuro del cinema si lascia prevedete ben

poco. İntanto bisognerebbe, secondo lei,

ritrovare un terreno comune con il pubblico giovane e quello anziano,

ritrovare l’equilibrio fra la società e l’industria culturale.

Francesco Bruni ha paragonato le modalità produttive di un tempo a quelle attuali: “Come lavoravamo 30 anni fa? Andavano con la scrittura in qualche direzione , poi buttavamo via tutto e ripartivamo da zero. Volevamo vedere come andava. I film maturavano. prime e seconde visioni, rassegne, festival. Fra un film e l’altro passavano due anni o anche tre o quattro. La fretta della produzione moderna non aiuta i progetti a maturare. Sono riuscito a girare una serie TV, e ora sto facendo il casting della seconda e terza stagioni. Si faranno solo se la prima stagione piace

al pubblico, ciò che ancora non sappiamo ma intanto dobbiamo essere già pronti”

A Michele Pellegrini è stato chiesto cosa ne pensa del titolo su un giornale “La commedia italiana piange al botteghino”

Ha risposto che, a volte, c’è necessità di fare remake di commedie spagnole e francesi sempre per l”assenza del mercato dei copioni. Esiste solo il mercato dei registi. Ma non c’è lo stesso dialogo con il pubblico che oggi ha una fiction. Monicelli, Germi e altri grandi della commedia all’italiana esistevano perché ancora non c’erano le fiction a impegnarli.

Stefano Bises ha segnalato anche il ruolo del produttore che non è più così sentito. Ha paragonato i film ai podcast

che funzionano – quelli con un forte punto di vista personale. “Se provi un’emozione, riesci anche a trasmetterla. Dobbiamo continuare ad appassionarci ai film che stiamo facendo”, – ha detto.

Maurizio Braucci ha parlato dei tempi della creazione e quelli della produzione che non coincidono. Per lui, essere a caccia di idee è come inseguire Moby Dick. E quindi, inutile mettere pressione all’autore per restringere i tempi per non abbassare la qualità del prodotto. E poi, anche il pubblico va trattato con dignità: sono persone immerse nella vita e possono recepire anche storie complesse, non solo quelle da “cinema medio”. Valia Santella ha ricordato che tutti noi siamo il pubblico Ludovica Rampoldi ha suggerito un maggiore

dialogo fra lo sceneggiatore e il regista. Se fra questi due non c’è un dialogo alla pari, non ci può essere sviluppo.

Chiudendo l’incontro, Francesco Bruni ha parlato della sua nostalgia furibonda della sala. “Vedere una sala piena vale 72 Red carpet, nastri, David e Golden Globe”, – è convinto lo sceneggiatore.

Olga Matsyna

A PROPOSITO DI

“ASTOLFO”,

FILM DI E CON GIANNI DE GREGORIO

Gianni di Gregorio, attore di alcuni film di Matteo Garrone, sceneggiatore della sua “Gomorra”. Sceneggiatore per i registi come Felice Farina e Marco Colli. Attore in “Stanza del figlio” di Nanni Moretti e in “Siccità” di Paolo Virzì. Ci regala un film di cui è attore e regista, “Astolfo”, presentato prima alla kermesse cinematografica romana e poi al cinema “Giulio Cesare” di Roma.

Indubbiamente, è una gradevolissima e inaspettata sorpresa della Festa del cinema, questo film. Lo stesso attore e regista lo definisce l’opera più divertente del suo percorso artistico. Strana e

piacevole è la sensazione all’uscita dalla sala. Il film è una vera prova del fatto che il famoso “target”, ovvero, fasce d’età e di vari altri criteri per dividere gli spettatori, in realtà non esiste. O, meglio il confine fra il target “previsto” e quello non calcolato è molto labile.

L’argomento trattato (la vita delle persone della terza età) può in teoria far pensare che gli autori si rivolgano solo a un pubblico grande. Eppure, non è per niente così, e lo si avverte in ogni fotogramma. È un’opera che parla a tutti, perfino agli adolescenti.

Astolfo è un discendente di un’antica famiglia nobile. Si trova a far conciliare le glorie del passato cinquecentesco con la decadenza dei nostri tempi. Le musiche originali si ispirano a quelle

delle tenzoni dei secoli addietro e accompagnano il protagonista in tutte le sue lotte contro le moderne ingiustizie.  È la storia di Don Chisciotte dei nostri tempi che, a differenza di quello di Cervantes, esce vittorioso dalle battaglie con i mulini al vento.

L’ironia è sempre dietro l’angolo, ciò che rende divertente le scene è quella carica di ottimismo che al protagonista non manca mai. Gianni di Gregorio ci insegna che la vita non si ferma a un tot di anni. Il successo (con i David di Donatello e con altri riconoscimenti importantissimi) gli giunge a un’età della saggezza, e gli fa vivere una vita più piena che lui riesce ad apprezzare di più e condivide quest’esperienza con il pubblico.

Nel cast gli attori che, grazie a un’abile regia, sono perfetti a dar vita ai personaggi: Stefania Sandrelli, Simone Colombari, Agnese Nano, Andrea Cosentino. Un tocco di comicità in più è dato dai personaggi che sono (come il personaggio di Alfonso Sant’Agata) o diventano i migliori amici di Astolfo, suo malgrado (Gigio Morra, Alberto Testone, Mauro Lamantia).

È un film per tutti. Una commedia senza riserve. Chi la vede, sicuramente non se ne pentirà.

Olga Matsyna

“SICCITÀ” DI PAOLO VIRZI’

“Siccità” è forse il film più grottesco in tutta la filmografia di Paolo Virzì. Se esiste il teatro dell’assurdo, con quest’opera siamo nel cinema dell’assurdo scoperto (o riscoperto) come genere. Esattamente come il teatro di Beckett e Ionesco, la recente pellicola di Virzì ci mette di fronte a un reale privo di logica in cui ognuno dei personaggi, nonostante la sua vita sociale, si sente solo e in balia delle logiche illogiche del quotidiano che lo attanagliano.

Il film vanta un cast stellare: Vinicio Marchioni, Valerio Mastandrea, Silvio Orlando, Monica Bellucci, Massimo

Popolizio, Claudia Pandolfi, Tommaso Ragno, Max Tortora, Diego Ribon. La trama è un intreccio di storie di vari personaggi che sono costretti a vivere un disastro naturale e a sopravvivere a esso.

Il film è una perfetta e geniale metafora della pandemia della quale siamo reduci anche se non ne usa che alcune citazioni. Come quella di un personaggio del giovane che protesta sostenendo che “con la scusa della siccità siamo tornati alla dittatura”.

È un’opera che ci rivela il significato recondito della libertà. Il portatore di quest’idea è il personaggio tragicomico di Silvio Orlando – un carcerato che si ritrova, suo malgrado, al di fuori dalle mura di Rebibbia. L’uso che fa della sua

libertà in questo film la dice lunga su chi è l’uomo e sulla sua naturale tendenza alla libertà. Quando e per quale motivo ci sentiamo veramente liberi nella vita? La domanda, com’è giusto che sia, presuppone un approccio individuale e, quindi, resta aperta.

Fra le metafore geniali di quest’opera cinematografica c’è l’immagine apocalittica di una Roma arresasi alla siccità, grave cataclisma che porta con sé anche il malessere dell’epidemia. Attraversando a piedi la città dalla quale è scomparso il Tevere. Il personaggio di Orlando cammina per il letto del fiume in secca, completamente inaridito, e intravede un uomo e una donna in groppa a un asino. Sembra la coppia che deve raggiungere Betlemme per una nuova natività.

Il gran finale dell’opera è la fine naturale della calamita’. Una pioggia su Roma che spazza via lo sporco, gli insetti e l’indigesta gestione dell’emergenza sanitaria.

Un film d’attualità. Sul nostro quotidiano, sulla politica – di ieri, di oggi e di sempre, sulla nostra capacità di restare uomini e di sognare libertà.

Olga Matsyna

I PRODUTTORI

“I DIALOGHI SU FUTURO DEL CINEMA”, MAXXI, ROMA, Festa del cinema

L’incontro con i produttori cinematografici è stato aperto da Gianluca Farinelli, Presidente della Fondazione per il cinema di Roma, ed è stato moderato da Laura delle Colli. Al centro dei dibattiti c’era l’attualità delle produzioni italiane e il futuro dell’industria cinematografica.

Marta Donzelli, presidente del Centro Sperimentale di cinematografia, ha notato che una produzione “in serie” talvolta mette a rischio la pluralità dell’offerta: i prodotti audiovisivi non devono essere simili l’uno all’altro, ma co-esistere in una specie di ecosistema

che lascia lo spazio alla vitalità espressiva del cinema resa possibile grazie non solo ai contenuti, ma anche alla forma. A suo parere, il futuro della sala non è una guerra con le piattaforme, ma una simbiosi sulla quale bisogna ragionare insieme.

Lorenzo Mieli (Wildside) che, a suo dire, produce pochi film, ne ha spiegato le ragioni. A suo avviso, un film deve sempre essere di rottura e di un forte richiamo. Il rischio sostenuto dal produttore deve essergli ripagato con la soddisfazione di creare qualcosa di unico e degno. Questo è stato il suo obiettivo anche nelle serie TV. Secondo Mieli, bisogna saper rischiare, ed è proprio giunto il momento per essere uniti e fare scelte coraggiose.

Domenico Procacci (Fandango) ha sottolineato la necessità di fare squadra e di condividere le scelte prima di prendere la decisione su una produzione. Ha detto che non si sente mai solo a decidere. Ha citato anche una massima di Franco Cristaldi sulla strategia delle produzioni cinematografiche: “Non dobbiamo fare film che si vendono, ma vendere i film che facciamo”.  Ha proseguito dicendo; “Noi produciamo prototipi e non dobbiamo impigrirci nelle scelte. Spetta a noi, produttori, proporre al pubblico i nuovi format perché la gente sicuramente non ci può chiedere ciò che ancora non esiste”. A proposito della novità nelle proposte, Procacci ha citato la nascita di serie documentarie.

Francesca Cima (Indigo) ha proposto

uno studio della storia dei produttori e delle modalità di produzione. Sarebbe fondamentale per capire come mantenere i propri gusti anche nei tempi in cui è difficile trovare i finanziamenti. La produttrice ha affermato che, secondo lei, è meglio sviluppare le idee che piacciono e poi proporle piuttosto che proporle e poi aspettare di svilupparle. La capacità di sviluppare andrebbe preservata a tutti i costi. Lei e Nicola Giuliano solitamente scelgono ciò che piace loro, e un giorno fanno sì che questa produzione parta. Per loro due, più che il problema di scegliere, ci sarebbe quello di portare avanti i progetti. Ha ribadito che Il problema del sistema produttivo è la mancanza di tempo e, di conseguenza, c’è stato un notevole contributo dei produttori nella proposta del cinema d’autore, fiore

all’occhiello dell’industria italiana. Quando sono stati prodotti i film di Sorrentino (Indigo) e di Garrone (Fandango), non c’è stata una risposta della sala immediata. Tuttavia, la progettualità, produttiva ed artistica, è importante. Francesca Cima si pone l’obiettivo di andare avanti lavorando sulla forma, linguaggio e qualità vedendo nel cinema, oltre all”industria, anche una forma culturale.

Federica Lucisano (Italian International Film) ha sempre dovuto affrontare la sfida della quantità facendo debuttare almeno venti registi. Il più recente debutto è quello di Davide Minnella, ma la produttrice si ricorda ancora anche l’esordio alla regia di Fausto Brizzi (“Notte prima degli esami”). Federica Lucisano non condivide il parere di Piera

Detassis (“una quantità estrema di film porterebbe al loro impoverimento”), ma hegelianamente crede nel mutamento della quantità in qualità ed è affascinata da un mix di generi da proporre al pubblico, come la trasposizione cinematografica e/ o televisiva del romanzo storico. E, se certi film stanno meglio sulle piattaforme che in sala, bisogna trovare un accordo.

Benedetto Habib (Anica) ha ricordato ai presenti la realtà paradossale dell’industria. La scelta dei progetti si sta industrializzando, il tempo manca sempre di più. Ma, nonostante una profonda crisi, aumenta il consumo dei film e si accorcia la durata delle serie tv. I nuovi talenti non hanno un banco di prova e non godono la visibilità di una volta. Il ritorno dei film in sala

ricostruisce il rapporto con il pubblico, ed è da qui che bisogna ripartire.

Riccardo Tozzi (Catleya) ha parlato di un certo rallentamento del cinema, per favorire la nascita di nuove forme dei prodotti audiovisivi.. Per lui, il cinema è una macchina tecnologica che vive reagendo ad impatti con l’innovazione del prodotto in ogni fase dell’evoluzione della tecnologia e della società stessa. Il cinema è cambiato molto con l’avvento del sonoro, del colore, della televisione. E oggi su sta confrontando con l’impatto digitale. Tozzi è convinto che il pubblico si sposta dalle sale alle piattaforme per l’innato interesse a un prodotto nuovo. Cambia drasticamente lo story telling (la drammaturgia). Il cinema narrativo diventa antiquato per il suo stile narrativo. La soluzione? Bisogna tornare

a fare il cinema più rischioso e sfidante, strano, concorrenziale. Un cinema “più cinematografico”. Bisogna darsi il compito difficile di essere all’avanguardia nell’espressione.

E il futuro che intravedono oggi  per il cinema i produttori italuani? Le sale saranno più piccole, non ci sarà più un pubblico di massa. Avremo a che fare con i nuovi cineclub, forse anche quelli virtuali. Ma il cinema avrà pur sempre un suo ruolo importante nella società. E ci sarà un nuovo cinema, innovativo e rivoluzionario, che ci colpirà particolarmente.

Olga Matsyna

A PROPOSITO DE

LA STRANEZZA di ROBERTO ANDÒ

“La stranezza” è un film che descrive la storia della creazione di “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello. Il grande drammaturgo è magisralmente interpretato da Toni Servillo, i due becchini che incontra – da Ficarra e Picone. C’è un qualcosa di inaspettato, una serie di colpi di scena – ed ecco, la scintilla si accende, e l’opera nasce. Se ne seguono tutte le fasi creative e il sacrosanto momento della messinscena che per poco non diviene fatale per “I sei personaggi” – la prima assoluta al Teatro Valle. Assistiamo alla prima e la viviamo insieme al grande drammaturgo siciliano.

La pellicola crea una magia che non si spiega razionalmente. Com’è possibile che nessuno abbia visto Pirandello in Toni Servillo prima di Roberto Andò? E nessuno ha mai immaginato un “pre-quel” dei “Personaggi” ovvero una concatenazione di cause ed effetti che portarono l’autore a scrivere l’opera rivoluzionaria per il teatro mondiale? Nessuno ha mai indagato sull’amicizia che legava Luigi Pirandello a Giovanni Verga?

I colori volutamente foschi, un lavoro sulle luci opache e ombre scure avvolgono questo affresco in un velo di mistero. Da dove scaturisce veramente la creatività? Dove la spia, inosservato, Pirandello? E, soprattutto, quando? Durante la rappresentazione o, piuttosto, durante le prove o addirittura nei

momenti del prima e del dopo, mentre lavorano gli operai di scena? Cos’è la verità a teatro, come e dove andare a cercarla?

Nel film, oltre a Pirandello, gli autori sono anche Onofrio e Sebastiano interpretati dal duo comico di Ficarra e Picone. Sono molto organici nei ruoli dei “cassamortari” che ricordano anche i becchini shakesperiani. È un continuo di sketch sul labile confine fra vita e morte, tragico e comico, realtà e finzione. “Noi, autori, spesso abbiamo la pretesa di rendere plausibile ciò che plausibile non è”, – afferma il Pirandello di Toni Servillo. La vita è sempre più complessa e di gran lunga meno plausibile della finzione e della drammaturgia costruita a regola d’arte. Il film esplora proprio la barriera fra ciò che e reale e ciò che è,

invece, elaborato, ricreato e riprosto artisticamente.

Una stanza dei sospesi in cui i morti restano ad attendere la tumulazione, le comicissime assurdità della burocrazia dei tempi (in cui riconosciamo anche quella moderna), una frattura fra ciò che la vita deve essere, secondo la morale borghese e com’è veramente – Pirandello osserva tutto ciò e inizia ad ascoltare Onofrio e Sebastiano per poi passare ad altri personaggi, quelli che immortala nella sua opera più conosciuta.

La comicità siciliana rivela via via  anche il suo lato drammatico e ci regala i momenti di un’autentuca catarsi.

L’incontro col regista e col cast artistico e il mezzo più gusto per promuovere il

film perché lo trasforma in un evento, in uno spettacolo (o meglio happening) teatrale. Il pubblico è sempre desideroso di incontrare gli attori e i registi. Dopo un lungo periodo di limitazioni e chiusure pandemiche, si avverte, nell’audience, un rinnovato interesse per gli eventi dal vivo. La sala è piena. Per un disguido faccio un ritardo e riesco ad arrivare in sala solo per l’inizio della proiezione, saltando così l’incontro con il regista e gli attori. Ho in mente una domanda da fare a Roberto Andò di cui sono fiera di aver visto a teatro “I vecchi tempi” e “Shylock”. So che il regista ha incontrato nel suo percorso il grande Leonardo Sciascia che aveva reso celebre la Sicilia nel mondo ancor prima di quanto lo fecero Hollywood e il cinema e la televisione italiani. La domanda,

ovviamente, sarebbe stata: “Maestro, qual è il suo rapporto con Leonardo Sciascia e quanto la personalità del grande scrittore avrebbe influito sulla sua creatività?” L’autore non c’era più in sala, ma la pellicola stessa mi ha risposto a questa domanda. Ringrazio gli autori, il cast e lo staff del film per questa magia e per una parte di “stranezza” regalata a me come anche a tutti voi.

Olga Matsyna

Si ringrazia Olga Matsyna per la gentile concessione degli articoli, un generoso contributo che aumenterà il valore di Slasharts, a lei vanno i migliori auguri e, di nuovo, i più sentiti ringraziamenti.

Olga Matsyna