google-site-verification: google39e57892897b4171.html

Sulla deriva dell’arte di Angelo Crespi

Ottimo articolo pubblicato sul Giornale.it tutto vero ma manca la parte più importante che sta alla base del suo discorso.

L’arte contemporanea è un flusso finanziario enorme e di entità imprecisata perché sfugge a ogni sorta di controllo. Potremmo dire che parliamo di una cosa che non si sa che cosa è, perché vive su canali che sono appannaggio di alcune cerchie, che fanno i loro interessi indipendentemente da tutte le dinamiche che si conoscono. Ci siamo stupiti tanto delle cripto valute e dei loro andamenti finanziari strani che, nonostante tutto, ricevono continui flussi di danaro. Bene, la finanza dell’ arte è simile e anche peggiore per molti aspetti che cercherò di elencare. Le aste internazionali sono ormai da parecchio tempo segrete quando prima erano gli eventi mondani del jet set, i ricchi della terra si vedevano da Sotheby’s, Christie’s, ecc. per ostentare la loro ricchezza, adesso delle telefonate ricevute dai battitori decidono la vendita, chi sono? Non si sa, gran parte delle opere d’arte e in particolare quelle che hanno le quotazioni più alte sono di proprietà anonima. Da quando le strette fiscali sono sempre più serrate non si ostenta più la ricchezza, i ricchi sono braccati come i criminali avvantaggiando quest’ultimi nel mantenimento di canali segreti, c’è tutto un enorme comparto di professionisti della finanza che lavora nello specifico. Il capitale si divide in due: quello buono di tipo umanitario fatto santo dalla sinistra e quello criminale, stare in mezzo vuol dire collezionare procedimenti giudiziari a catena che sono all’ordine del giorno sui media. L’aspetto più allarmante è che dietro l’arte, usata come scudo, ci sta il marcio finanziario più schifoso, in primis l’arte si avvale del fatto che molte valutazioni di prezzo sono “personali” cioè: << ho l’opera d’arte per me, la vendo se mi va, altrimenti no>> finanziariamente vuol dire tutto e niente, ma se uno detiene una grande quantità di Damien Hirst possiede un capitale notevole di imprecisato valore. Scendendo nei dettagli, questi margini di valutazione permangono e vengono rinvigoriti contraddittoriamente da un mercato fecondo, un mercato che non dovrebbe esistere perché non ha valutazioni ufficiali, nemmeno l’ultima quotazione d’acquisto, perché se si è fatto un buon affare si sa che il valore è molto di più di quello pagato, lo stesso però vale all’inverso. Per sottostare a queste “regole” devi avere soldi facili altrimenti te ne stai fuori. Queste sono ottime condizioni per il riciclo finanziario. Tutti sanno che esiste una massa di soldi enorme che vaga nel mondo, come le isole di spazzatura nell’oceano, soldi che hanno bisogno di “approdi” perché per l’enorme quantità di ingombro non possono stare sotto il materasso. Apposite catene di società matriosche gestiscono gli spostamenti di tanto denaro proveniente da situazioni impensabili, cui trovano una collocazione. Che perdano o che guadagnino, il fatto che i soldi non sono più identificabili per quello che erano prima è una considerevole vittoria. Non è una mia scoperta, ma si sa che molto denaro sporco dei narcos è stato investito in opere di Botero, almeno così si dice; si può dire che se il Sud America ha un grande artista ciò è dovuto alle poderose iniezioni finanziarie ad opera dei trafficanti di droga. Se di Botero si paventa qualcosa dovuto alle origini geografiche di altri cosa si sa? Difficile da sapere e da quantificare. Oltre la criminalità ci sarebbe da parlare dei vari buchi neri che ogni società, azienda, faccendieri o altro hanno. Per esempio sarebbe interessante sapere dei denari provenienti dai ricchi del Terzo Mondo ma qui si aprirebbe un capitolo enorme che tralascio per ovvi motivi.

In mezzo ci stanno le banche che fanno da scudo a operatori finanziari corrotti, i vari direttori dei consigli di amministrazione spesso eletti da organizzazioni sindacali. Notoriamente quasi tutti i consigli di amministrazione sono di sinistra, cioè “anticapitalisti:” ditemi quale migliore camuffamento ci potrebbe essere. Immaginarsi che esistono direttori di banca che stanno a guardare tutte queste quantità di soldi e si accontentano di un ordinario stipendio, per quanto alto sia, mi sembra strano.

Un vortice finanziario così enorme che persino i comunisti cinesi non vogliono esserne tagliati fuori, da un po’ di anni la Cina è in prima linea e costituisce uno dei mercati più ricchi del pianeta.

Più soldi che arte, non è un caso che l’artista più quotato al mondo è Jeff Koons, un ex- operatore finanziario diventato artista che tra l’altro in Italia è diventato popolare come marito di Cicciolina, esibendosi in “opere” scandalose.

Per sanare tutto ciò basterebbero le banche proprietarie dei caveau che custodiscono le opere d’arte ma da quello che abbiamo capito prima sappiamo che non lo faranno, la stessa cosa fatta da altri è imputabile di ricettazione.

Comico se non tragico è che dietro questo schifo ci sta proprio il così detto mondo umanitario, i finanzieri filantropi che “aiutano” il Terzo Mondo; qui parlo di quelli che lo fanno per salvarsi la faccia, mascherati fanno quello che vogliono, insomma un teatro dell’assurdo che miete migliaia di vittime, ma ditemi voi che cosa può fare contro di loro una eventuale lotta politica, per quanto giusta che sia. Un enorme flusso finanziario incontrollato, in continua crescita esponenziale a cui aspirano tutti gli avidi affaristi. In un paese mafioso come il nostro abbiamo untouchables come Prada, che è la più ricca collezionista al mondo, costruita al meglio da Celant. Abbiamo Cattelan, che ha opere d’arte le cui quotazioni schizzano in alto in men che non si dica. La sua “banana” altro non è che un contratto pagato profumatamente, perché il frutto africano dopo pochi giorni marcisce ed è il contratto d’acquisto che ne garantisce il valore indicando, ditemi se non è comico, l’acquisto in frutteria di una banana fresca per esporla di nuovo. Comunque, su questi temi, Angelo Crespi ha scritto delle cose che bisognava far conoscere e a lui va tutta la nostra stima.

È bello solo perché costa. La deriva finanziaria dell’arte

Angelo Crespi svela vizi e tic del mercato del contemporaneo che fino al 2019 valeva 60 miliardi di dollari. E ora rischia…

Angelo Crespi – Mar, 23/03/2021 – 08:57

Le opere d’arte contemporanee sono diventate simili ad azioni e al pari delle azioni, per essere scambiate con semplicità e velocemente, poiché la velocità degli scambi determina la crescita del prezzo, devono essere fungibili, cioè una equivalente all’altra.

Di modo che salendo il prezzo di una, salga anche il prezzo delle altre. Consideriamo gli Spot Painting, i lavori a pois di Damien Hirst, di cui ne sono stati prodotti oltre un migliaio, tutti uguali, solo differenti nei colori e nelle dimensioni, ebbene il mio desiderio di possesso viene appagato da uno qualsiasi di essi, non ho preferenze, quello che mi interessa è la firma di Hirst perché so benissimo che sono stati dipinti dagli assistenti e anche se fossero stampati in digitale il valore non cambierebbe. Mi interessa il logo, o eventualmente il loro valore, cioè il prezzo, e infine il potenziale ricavo che ne potrei fare.

Questa deriva finanziaria ha aspetti comici, se pensiamo che una buona parte delle opere comprate immaginando potenziali ricavi non vengono neppure ritirate dalle gallerie, o se ritirate sono custodite negli storage dei porti franchi, quasi sempre in Svizzera. E capita perfino che quando vengono rivendute, anche il successivo proprietario non ne cambi il luogo di custodia. In ogni caso, finché dura il marchio Hirst, so che non avrò difficoltà a vendere quell’opera essendo uguale alle altre e neppure avrò dubbi sul prezzo poiché la mia varrà, in ragione delle dimensioni, come le altre e se avrò avuto la fortuna di vedere crescere la capitalizzazione della società Hirst, parallelamente sarà cresciuto nella stessa percentuale anche il valore della mia azione-opera.

Si stima che il numero di milionari nel mondo abbia raggiunto la cifra di 36 milioni. Il 10% dei cosiddetti High Net Worth Individuals detiene l’88% della ricchezza mondiale. Il 35% di loro colleziona arte, anche con fini speculativi. Secondo uno studio recente, si pensa che questo segmento di popolazione, in ogni caso, aumenterà del 43% entro il 2026 e il relativo patrimonio, che nel 2016 ammontava a 1.600 miliardi di dollari, lieviterà a 2.700 miliardi entro il 2026. Anche i miliardari, gli Ultra High Net Worth Individuals, continuano a crescere in modo vertiginoso. Nonostante le incertezze economiche e la crisi, la popolazione di individui dotati di un patrimonio di almeno 30 milioni di dollari è salita del +12,9% nel corso del 2017 (+3,5% sul 2016). Ed anzi, con la pandemia alcuni super ricchi hanno visto aumentare il proprio patrimonio. È in atto una sorta di concentrazione del denaro nelle mani di poche persone e un conseguente della disparità tra la popolazione: in particolare la Banca centrale americana ha calcolato che nel 2020 le 50 persone più ricche d’America detengono una ricchezza (circa 2 trilioni di dollari) pari a quella della metà più povera di quel Paese (165 milioni di individui). I ricchissimi possono dunque spendere milioni in opere d’arte per assolvere un bisogno di autorealizzazione o per accrescere ulteriormente il proprio status.

I nuovi ricchi hanno infatti capito che l’arte, specie quella contemporanea, è un ascensore sociale, permette loro di entrare in circuiti riservati, di accreditarsi immantinente in un contesto culturale. E l’accreditamento è ancora più veloce se il prezzo pagato è esuberante e se l’opera è assolutamente insensata, tanto che il collezionista possa porsi in una posizione privilegiata rispetto agli altri suoi pari, anch’essi nouveau riche. Il prezzo è fondamentale perché dice subito della ricchezza del collezionista. Ma ancor più di uno yatch o di un’automobile, l’opera se incomprensibile agli altri come tanta arte concettuale, ingenera l’idea che il collezionista sia entrato davvero in una sorta di setta di iniziati, in grado di comprendere il verbo del contemporaneo. L’arte contemporanea è una religione e consente con un semplice rito, cioè pagando, di convertirsi ad essa e farsi adepto.

Anche i piccoli investitori sembrano influenzati dalla febbre della speculazione, forse perché non conoscono il mercato e le concentrazioni esistenti, non hanno chiaro che oltre il 60% del mercato in termini di valore (più di 60 miliardi di dollari all’anno, fino al 2019) è prodotto solo dall’1% delle vendite. Ciò significa che il vero mercato è fatto da opere d’arte con un prezzo superiore a un milione di euro. Così fa sorridere quando il piccolo investitore si domanda che rendimento potrà avere il suo investimento in arte, volendo magari comprare un’opera che costa 5 o 10 mila euro. La risposta è zero, anzi si svaluterà fino allo zero, come succede al divano che dopo dieci anni devi smaltire pagando il robivecchi, o come le automobili che dopo un quinquennio devono essere rottamate e valgono solo in quanto sconto in previsione di un nuovo acquisto meno inquinante.

L’opera d’arte, però, non si consuma né si deteriora onde per cui almeno non ci sarà bisogno di rottamarla. Appendendola sul muro ogni giorno si stacca quello che gli economisti e i sociologi hanno definito «dividendo estetico». Se ho comprato una cosa bella, ogni giorno sarò felice del mio investimento perché la bellezza e l’arte danno senso alla nostra vita. Una vera opera d’arte non è mai circoscrivibile, non esaurisce mai il proprio senso, la luce diversa del mattino ne svela significati sempre nuovi. La bellezza dell’opera d’arte rimanda sempre a una bellezza più grande che ci sovrasta e che non possiamo cogliere se non nel frammento. Ed è il potere dell’opera d’arte, mettere in moto questo rispecchiamento. L’arte concettuale, cioè l’arte contemporanea hard, invece invecchia perché i concetti invecchiano e, volendo prescindere dalla forma, essa è destinata irrimediabilmente a morire.